24.2.07

Angiolina 

posted in Voci -by Raffa per gentile concessione a LucaniArt
di Flora Delli Quadri
Era una quasi mamma per me. Abitava a 20 metri, di fronte casa mia. Alta, imponente, con i capelli legati dietro la nuca a formare il “tuppo” (chignon), pettinino e forcine di finta tartaruga, accoglieva tutti con un gran calore.
Il portone di casa era sempre aperto. A destra entrando, c’era un minuscolo bagno con il solo water; a sinistra la scala alla cui sommità si trovava la cucina, anche quella sempre aperta.
“Angiolì”, chiamavo ad alta voce entrando dal portone.
“Uèh”, rispondeva lei con la sua voce naturalmente allegra e gioviale.
“Ha ditt mamma, damm ru ‘ndrattìat”-
“N’ l’ tìang, ma assettat na ‘nze”
(“Angiolina, ha detto mamma, dammi l’intrattieni, che voleva dire intrattienimi”- “Non ce l’ho, ma siediti un po’).
E così io aspettavo che mi desse “ru ‘ndrattìat” convinta che fosse un dolce. E intanto lei chiacchierava, chiacchierava, qualche volta mi raccontava le favole, e il tempo passava. Mia madre era soddisfatta de “ru ‘ndrattiat”, ma io non avevo ricevuto il dolce che m’aspettavo. Angiolina era comunque una compagnia piacevolissima, sempre gioviale e allegra, nonostante una vita di ristrettezze economiche.
Il marito, zoccolo duro del Partito Comunista, era un operaio edile di cui lei era innamoratissima. Profondamente religiosa, ne aveva abbracciato la causa, mescolando la fede politica con la fede in Dio così intimamente, da averle rese indistinguibili. Aveva fede in senso lato e da questa traeva la sua forza e la sua serenità. Credeva fermamente nel riscatto delle classi sottomesse, ad opera di Baffone o di Cristo non faceva differenza. Andava in chiesa e si comunicava regolarmente.
Un bel giorno, eravamo negli anni ’50…
Ma andiamo con ordine.
C’era, vicino casa, la vecchia stazione ferroviaria dismessa subito dopo la guerra, regno dei nostri giochi. Un giorno, che stranamente ricordo con eccezionale vivezza pur essendo all’epoca molto piccola, arrivò un monaco, un Padre Cappuccino da Serra Capriola. Chiese informazioni su dove fosse la stazione ferroviaria. Gliela indicammo, lui la visitò, poi andò dal sindaco.
In breve tempo la stazione non fu più nostra, i frati se ne impossessarono e vi insediarono il convento. Il paese, già molto clericale, con tredici parrocchie e tredici parroci, poteva adesso godere anche del Convento dei Frati Cappuccini, il che volle dire in breve tempo oratorio, biliardino, recitine, canti, Terzo Ordine ecc.. ecc…
Il guaio fu che tutti i fedeli, di colpo, abbandonarono le loro vecchie parrocchie per riversarsi nel circolo fondato dai frati. “Rumore di scope nuove” diceva il parroco Don Giuseppe, il più trasgressivo dei parroci. Ma si sbagliava: il fenomeno dell’esodo dalle parrocchie verso la nuova realtà fu inesorabile. L’esodo raggiunse il culmine con l’arrivo di un monaco, esorcista, “comandato da Dio” per combattere il diavolo. Ogni sera, dall’altare, intratteneva i fedeli con il racconto delle sue esperienze da esorcista, creando un pathos indescrivibile. Le sue prediche, a puntate, erano come uno sceneggiato televisivo di oggi: “Andiamo, andiamo, oggi c’è la seconda, la terza, la quarta….. puntata.”
Tutti, Angiolina compresa, erano felicissimi del rinnovato fervore religioso, tranne i parroci abbandonati a se stessi.
Una domenica, la piccola chiesa gremita di gente, Angiolina come sempre andò a confessarsi. Il monaco esorcista conosceva Angiolina e probabilmente aveva già tentato di dissuaderla dal votare per il Partito Comunista, ricevendone sdegnoso diniego. Quel giorno, da dietro la grata del confessionale, lui reiterò la richiesta, lei rispose “NO, MAI!” e il monaco le negò l’assoluzione.
Angiolina, arciconvinta che ricevere l’ostia fosse un suo diritto, si recò lo stesso all’altare. Il monaco la vide e le passò davanti col vassoietto, negandole l’Eucarestia.
Fu scandalo generale, si crearono i fan e gli anti Angiolina, tanto da diventare quasi un'eroina!
Il Parroco Don Giuseppe gongolava, sperando invano che i fedeli tornassero a lui.
Angiolina per quella domenica non si comunicò, ma la domenica successiva andò a farsi la comunione in un’altra chiesa, da un altro parroco, più tollerante e forse più vicino a Dio del nostro bravo monaco esorcista/integralista.
Oggi Angiolina non c’è più, è morta quattro anni fa. Ha continuato a volermi bene e a darmi “ru ‘ndrattìat” ogni volta che andavo a trovarla. Stavolta però era un vero “’ndrattiat” come lo sognavo da piccola: una bella fetta di ciambellone preparato da lei. Ce n’era sempre uno in casa, qualsiasi fosse l’ora o il giorno della settimana in cui la visita avveniva. Lo tagliava con religiosa cura, avvolgeva la fetta con un tovagliolino, poggiava sul tavolo un bel bicchiere di vino, rigorosamente bianco, e mi offriva il tutto pronunciando un semplice “alla salute”.
Questo augurio, pronunciato con la sua voce allegra e gioviale, somigliava sempre più a una preghiera di ringraziamento al Signore, man mano che andava avanti con l’età! E quel bicchiere di vino bianco era quasi un simbolo religioso. Per me invece era probabilmente, o più semplicemente, un brindisi alla faccia di chi tentava o tenta di mortificare uno spirito libero.
Flora Delli Quadri nasce nel 1944 ad Agnone (Isernia). La formazione politica del genitore, socialista, antifascista e perseguitato, conduce Flora alla militanza politica in un gruppo denominato Gruppo 38, che negli anni '70 fu l'artefice del rinnovamento politico e culturale molisano. La naturale evoluzione della sua militanza la porta ad essere membro attivo del PCI, in ambito locale e regionale. Si trasferisce nel 1975 in provincia di Cosenza, dove attualmente vive e insegna (matematica).

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1 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Caro Blogger,
non trovando una mail alla quale risponderti,
e volendo proporti un servizio che
probabilmente Ti interesserà,
Ti chiedo di contattarmi a info@vascoblog.com
Ciao

13 marzo, 2007 15:44  

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