5.8.06

Mio padre racconta il Novecento 

pposted in Voci - by Teresa per gentile concessione a LucaniArt

di Teresa Armenti

Mia madre "a mirichessa"
Mia madre era analfabeta, però sapeva fare ‘a rocchio[1], a scisciola[2], a vendre[3], ‘u riscende e a risibola[4].
Spesse volte la chiamavano con urgenza.
Anche quando ritornava dalla campagna, prendeva una penna di gallina nera, un anello di argento, una chiave mascolina di ferro e si recava dalle persone. Si faceva il segno della croce e bisbigliava le sue formule, che erano segrete, recitando pure a bassa voce il Pater Noster, l’Ave Maria e il Gloria Pater. Queste formule magiche si potevano trasmettere solo nei giorni di festa che capitavano una volta all’anno, come a Natale, a Pasqua, a S. Giuseppe.
Una volta il medico curante di Castello, don Peppo Lardo, rientrò a casa con la faccia molto gonfia. La moglie lo osservò e disse:
“Tu hai la risibola. Dobbiamo andare a chiamare cumma Tresa ‘u Lazzarotto”.
Rispose lui:
“Sta mangialardeddo
[5] ri Latronico, tutte le ciutizie[6] sai tu”.
Lui era stanco e andò a dormire.
Subito la moglie andò a chiamare mia madre, che accorse con i suoi attrezzi e gli fece la risibola.
Quando il medico si alzò, disse:
- Lo sai, che mi sento meglio!
Rispose la moglie:
- Se non fosse stato per me, che sono andata a chiamare la donna, hai mente a ci cantà
[7]-
Così la faccia gli sgonfiò.
A quei tempi il medico si pagava.
Nella mia famiglia c’erano 3 o 4 visite da pagare. Andò mia madre a casa del dottore:
- Don Peppino, sono venuta a pagarti le visite, perché finora soldi non ne abbiamo avuti; ora mio marito ha fatto delle giornate e quindi il primo pensiero è stato quello di venire da voi-.
Il medico rispose:
- Cumma Teresa, tra medico e medico andiamo pagando le visite! -
E non volle essere pagato.

Alle perse con un carro armato inglese
Un giorno arrivò nei pressi della trincea un carro armato pesante. Io ero nella buca. Già mi arrivavano le briciole della terra sulla testa. Era proprio sopra di me. Stava per scheggiarmi. Mi presi una paura terribile. Ero in attesa della morte. Ad un certo punto il carro armato si fermò e mitragliò nella buca; la bocca del fuoco era alta e le pallottole mi sfioravano quasi la punta dei piedi. Io fermo, immobile, pieno di paura. Il carro armato proseguì il cammino. Arrivato ad un certo punto, gli arrivò un proiettile nei cingoli e il carro armato non poté andare avanti. La situazione si ribaltò. Uscimmo dai nostri nascondigli, eravamo tre o quattro e arrivammo ad una certa distanza dal carro armato.
Gli scaricai addosso una raffica di mitraglia.
Risposero gli Inglesi:
- Basta! Basta! Non sparate più. Siamo vostri prigionieri”
Arrivammo vicino al carro armato. Uscirono, uno alla volta, con le mani in alto. Erano tre inglesi. Passammo la rivista. Tirarono fuori le sigarette e ce le offrirono. Io passai la rivista anche nel carro armato. Trovai tre valigette. Una la lasciai nella mia buca. Accompagnai gli Inglesi al Comando con le altre due valigette. Le aprirono e trovarono tante carte topografiche. Io, dopo averli consegnati, tornai indietro ed andai ad aprire subito la valigetta. Ci trovai le attrezzature per la barba, due macchinette per i capelli, due paia di forbici, una penna stilografica, carte e buste per scrivere. Io e gli altri soldati avevamo i capelli lunghi come maghi; subito mi misi al lavoro e tagliai i capelli a tutti. Venivano anche gli altri che stavano più lontano e addirittura pure i Tedeschi.

Le lenzuola rubate
Nel cantiere, dove riparavamo le tende, ci consegnavano la stoffa che serviva per rattoppare. Era una percallina bella, bianca, che ti veniva il piacere di toccarla. Pensammo di ricavarci anche le lenzuola, perché dormivamo solo con una coperta. Era davvero un peccato non usare questa percallina. Gli Inglesi passavano l’ispezione all’uscita, perché non dovevamo portare niente fuori. Sapevamo anche che non erano generosi: se chiedevi loro qualcosa, si accontentavano di infossarla e non te la davano; quindi dovevamo studiare il modo per non farci accorgere.
Ogni giorno, prendevamo la misura giusta delle lenzuola con il palmo delle mani, stendendo le braccia, tagliavamo la stoffa e la piegavamo con una pazienza ed una precisione. Prima l’avvolgevamo vicino alla vita.
Andò bene per un po’ di tempo.
Qualche italiano, ruffiano, si avvicinava all’ufficiale inglese e nell’orecchio gli sussurrava:
-Mister, gli operai vi fanno fessi, si portano le lenzuola.
-No, non è possibile.
-Eppure ti dico che è vero.
Andavano a controllare e requisivano subito le stoffe.
Noi non ci arrendevamo, mettevamo le lenzuola ben piegate nel berretto. Lo stesso italiano faceva la spia e dopo un poco c’era il controllo. Passammo alle borracce di 2 litri: toglievamo la parte inferiore, lì inserivamo la stoffa; prendevamo, poi, una tela di racana
[8], la bagnavamo per bene, così gli Inglesi credevano che portavamo l’acqua.
Anche questa volta fummo scoperti.
Non sapevamo più dove nasconderle.
Pensammo alle scarpe. Sceglievamo le scarpe di due misure più grandi dei nostri piedi. Piegavamo per bene la percallina e la facevamo entrare nelle scarpe.
Il solito spione:
-Guarda che gli Italiani ti prendono in giro.
L’ufficiale, incredulo, prese anche lui un paio di scarpe e provò ad infilarci il pezzo di stoffa, ma non ci riuscì e non volle più credere a quanto gli veniva riferito.

[1] Mal d’occhio
[2] Cura il male alla lingua
[3] Mal di pancia
[4] Erisipela
[5] Mangiatrice di lardo
[6] Sciocchezze
[7] Il dolore non ti sarebbe passato
[8] Iuta
Teresa Armenti, di anni 56, pensionata, vive ed opera da sempre a Castelsaraceno (Pz). Ha insegnato lettere nella scuola media fino al 2004. Si interessa di storia, poesia, saggistica e letteratura.Ha pubblicato le seguenti raccolte di poesie: “Quotidianamente”, Porfidio Moliterno 1993, “La danza di attimi vaganti”, Gabrieli Roma,1996, 2001. “Da Castelsaraceno –Terra di magia lucana” –Settembre 2004. Collabora con il Mensile Il Sirino. Si è interessata della religiosità ed umanità nei romanzi di Pietro Mele e del brigantaggio femminile, tematiche promosse dalla Pro Loco di San Severino Lucano e pubblicate nel 2000. E’ inserita nella raccolta “Voci di donne lucane” curata dalla Regione Basilicata nel novembre 1996. Fa parte della redazione “Il Paese Tra pensieri ed azioni”, periodico locale di Castelsaraceno. È iscritta all’Associazione della Storia Sociale e del Mezzogiorno. E’ impegnata con l’amica e collega Ida Iannella nella ricerca storica, antropologica ed archeologica della sua terra. Insieme hanno pubblicato i seguenti lavori: “Castelsaraceno nella storia della viabilità lucana”, in Bollettino Storico della Basilicata, n. 11, dic. 1995, Osanna Venosa; “Nella magia della fede - La festa del Santo Patrono a Castelsaraceno”, EdiSud Salerno 1996; “S. Angelo al monte Raparo e il culto micaelico”, Ermes Potenza,1998. “Castelsaraceno- La Chiesa Madre: Santo Spirito”, Ed. Gruppo Culturale “Fratelli Guarini” Solofra (Av), ottobre 2004. “Intorno a Planula”, in Rassegna Storica Lucana, n. 37-38, a. 2003, Osanna Venosa. Insieme hanno curato le Schede di lavoro con spunti di riflessione del romanzo “Un anarchico al governo” di Angelica Pezzullo, Editrice Ermes, Potenza, settembre 2003. Nell’ambito della XVI Edizione del Premio Nazionale Biennale di Poesia “Città di Solofra,” ha ricevuto il 25 marzo 2006, insieme a Ida Iannella, la Medaglia del Presidente della Repubblica, per la costante opera di divulgazione storico-archeologica della Basilicata.
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